Marco Demis nasce a Milano nel 1982. Marco Demis è, senza dubbio, un pittore formalista, un artista che opera nell’ambito della figurazione con l’attitudine di un astrattista geometrico. Osservando le sue opere, si ha, infatti, l’impressione che egli non sia affatto interessato alla registrazione di fatti ed eventi presenti e che il rapporto con il nostro tempo sia per lui qualcosa di pleonastico o addirittura irrilevante.
È un atteggiamento che non dipende dalle ambientazioni inequivocabilmente retrospettive dei suoi dipinti, poiché nemmeno il passato è l’oggetto della sua indagine. Il tempo e la narrazione, fattori fondamentali di molte delle attuali ricerche neofigurative, non sono presi in considerazione. Si tratta, infatti, di elementi dinamici, sottoposti al dominio della trasformazione e corruzione di tutte le cose. Nei dipinti di Demis, invece, tutto è immobile, cristallizzato, circoscritto con assoluta precisione. Le figure umane, gli oggetti, le architetture che abitano, anzi che “occupano” (poiché abitare è già un’azione dinamica) lo spazio dei suoi dipinti, corrispondono a simulacri, significanti, forme appunto. Il referente, il significato, il contenuto emotivo viene eliso dall’artista, omesso o sottaciuto come un terribile mistero. E tuttavia, le forme, con la loro eloquente evidenza, continuano a produrre sensi, espressioni, concetti. In quanto morfemi, come affermava Focillon, esse rilasciano significati e intrecciano tra loro silenti relazioni. Proprio sulla trama di rapporti e sulla corrispondenza tra simulacri, tra figure, l’artista milanese costruisce la struttura sintattica della sua pittura, che, nonostante la presenza di locuzioni preziose, perfino affettate, riesce asciutta, concreta, quasi impenetrabile. Marco Demis è un artista difficile da leggere, finanche enigmatico, perché pone, tra le sue opere e l’osservatore, una distanza incolmabile. I suoi dipinti non rivelano nulla della sua biografia, non esprimono contenuti emotivi. Benché virate in una gamma ridotta di cromie, che spazia dai grigi ai blu filtrando ogni sintagma della sua grammatica attraverso una lente di vaga, opalescente malinconia, essi si offrono al nostro sguardo incantato come gli equivalenti visivi di un enunciato filosofico o di teorema matematico. Demis è un pittore freddo, razionale, direi quasi ossessivo nel reiterare temi e soggetti che solo saltuariamente arricchisce. C’è, infatti, in lui una sorta di parsimonia iconografica, che appare come il segno di una strenua volontà di concentrazione e di focalizzazione su pochi, meditati, lemmi. Ciò che è vibrante, mosso è, piuttosto, il clima tonale della sua tavolozza, che è forse l’elemento più sensitivo della sua ricerca. Il resto è fatto di linee, di perimetri che staccano le figure dal contesto, fino a delimitarle in superfici isolate. L’insieme risulta, così, una sommatoria di strutture autonome, una conformazione di ordinati affastellamenti visivi, verso i quali l’osservatore è autorizzato ad esercitare il ruolo d’interprete e produttore di significati. L’astenia espressiva dell’artista è una scelta di campo, una predilezione verso l’aspetto squisitamente linguistico della pittura, che delega ad altri la spinosa questione ermeneutica. In definitiva, per Marco Demis, l’eloquio è già una prerogativa delle forme, mentre l’impulso che le origina resta gelosamente custodito nella coscienza individuale. (Ivan Quaroni)